“Gustavo Pietropolli Charmet: Il mistero degli adolescenti e il dissesto della società”

Recensione in anteprima di “Adolescenti misteriosi” su Huffington Post, 31 ottobre 2024 di Davide D’Alessandro

www.huffingtonpost.it/cultura

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In libreria dall’8 novembre “Adolescenti misteriosi”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GUSTAVO PIETROPOLLI CHARMET

ADOLESCENTI MISTERIOSI

Ritiro scolastico, narcisismo, depressione, dipendenze. Oltre le facili etichette, Gustavo Pietropolli Charmet ci mostra chi sono oggi i giovani e di cosa hanno bisogno.

Ormai da molti anni il numero di adolescenti e genitori che si rivolgono ai servizi di consultazione psicologica è aumentato in maniera esponenziale. I ragazzi stanno male, e nessuno capisce cosa gli stia succedendo.

Ma è impossibile comprendere gli adolescenti se vengono ridotti alla sola dimensione di figli dei propri genitori. Gli adolescenti sono innanzitutto soggetti sociali, espressioni della scuola, delle amicizie, di Internet, del desiderio che avanza in un nuovo corpo. Soggetti avvolti da un mistero: l’adolescenza. “È come se l’adolescenza fosse uno spazio-tempo in cui ancora si può essere opachi, a se stessi e agli altri; poi finisce tutto e si diventa anche troppo trasparenti.”

In questo volume si sonda il paradigma culturale della società odierna per rintracciare quegli aspetti che impediscono una crescita autentica e serena dell’adolescente.

Ritiro scolastico e sociale, anoressia, depressione, abuso di sostanze, narcisismo: rifiutando la facile etichetta di “disturbi dello sviluppo”, si mostrano senza facili moralismi le difficoltà quotidiane e la capacità di resilienza dei ragazzi di oggi.

In libreria e in formato ebook dall’8 novembre

 

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Convegno per i 40 anni del Minotauro, Milano, 9 novembre 2024

 

Le nuove esigenze evolutive di adolescenti e adulti

A 40 anni dalla sua fondazione, il Minotauro organizza un convegno aperto alla cittadinanza.

Questo convegno si rivolge non soltanto alla community di esperti, ma all’intera cittadinanza, per sensibilizzare e diffondere uno sguardo attento e consapevole da parte degli adulti, alla luce dei profondi cambiamenti avvenuti negli ultimi anni e che caratterizzano le nuove generazioni di ragazzi, di genitori e di operatori.

9.00 – 13.30 (sessione mattutina)


Apertura dei lavori e saluti istituzionali
Laura Parolin, Lamberto Bertolè, Anna Arcari

“Dal pensiero fornariano ai compiti evolutivi”
Gustavo Pietropolli Charmet, Alfio Maggiolini, Diego Miscioscia 

“Scuola e digitale”
Katia Provantini, Matteo Lancini, Michele Marangi

“Genitori: sfide e complessità”
Maria Longoni, Alessandra Marcazzan, Daria Vettori

“Amare e studiare. Ostacoli o risorse per il giovane adulto”
Laura Turuani, Mauro Di Lorenzo, Fabio Madeddu

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14.30 – 17.30 (sessione pomeridiana)


“Crisi evolutiva tra rabbia e paura”
Virginia Suigo, Antonio Piotti, Stefano Benzoni

“Nuove forme di attacco al corpo e alla mente”
Elena Riva, Loredana Cirillo, Massimo Recalcati

Tavola Rotonda “Nuove esigenze evolutive”
Matteo Lancini, Gustavo Pietropolli Charmet, Alessia Lanzi


L’evento è gratuito previa iscrizione obbligatoria. Non è previsto attestato di partecipazione.

L’evento verrà svolto solo in presenza, non è prevista la diretta online.

Per iscriversi cliccare qui

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Supervisione AUSL Reggio Emilia-IRCCS, 8 novembre 2024

Venerdì 8 novembre 2024 tengo il secondo incontro di supervisione nell’ambito del corso di formazione organizzato dall’AUSL di Reggio Emilia- IRCCS, con la direzione scientifica della dottoressa Luana Pensieri.  Il percorso formativo, articolato in sei incontri tra febbraio e dicembre 2024 tenuti dal dottor Davide Comazzi e da me, è riservato agli operatori, psicologi, neuropsichiatri e educatori della AUSL di competenza.

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“Fragilità e povertà giovanile a Milano: l’impegno dei Benemeriti e l’esempio dell’hub Spazio INdifesa”, Milano, 23 ottobre 2024

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Pausa estiva

Le attività cliniche e di consultazione sono sospese da lunedì 12 agosto a lunedì 1 settembre.

Per informazioni o urgenze si prega di contattare la segreteria scrivendo a info@pietropollicharmet.it oppure telefonando al 3392513636.

Buone vacanze a tutti

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Master in Psicologia dei Nuovi Media: “Prevenzione e trattamento delle dipendenze da internet in adolescenza” IX edizione, 29 giugno 2024, Milano

Sabato 29 giugno 2024 tengo una lezione su “Attacco al corpo e internet” nell’ambito del Master in Psicologia dei Nuovi Media “Prevenzione e trattamento delle dipendenze da internet in adolescenza” giunto alla IX edizione.

Le profonde trasformazioni attivate dalla straordinaria diffusione di internet impongono la necessità di individuare nuove modalità di affrontare le sfide della modernità. La pandemia ha inoltre posto ulteriormente al centro dell’attenzione temi quali l’iperutilizzo della rete, la didattica e la prevenzione a distanza, nonché la necessità di integrare internet nella pratica clinica. Davanti ai radicali cambiamenti nel modo di vivere l’adolescenza è necessario dotarsi di strumenti e competenze adeguate alle nuove normalità, nonché ai bisogni evolutivi, affettivi, formativi e cognitivi dei ragazzi.

Progettare interventi preventivi o riabilitativi attuali ed efficaci richiede una forte attenzione agli strumenti tecnologici, ormai divenuti di uso comune, nonché al loro utilizzo da parte dei destinatari degli interventi stessi. Per tale motivo è importante una formazione completa in materia di nuove tecnologie, non solo in quanto strumenti e risorse spendibili nella progettazione, ma anche come elementi fondamentali per la lettura di fenomeni attuali quali internet addiction, sexting, cyberbullismo e ritiro sociale.

Con l’obiettivo di promuovere la comprensione e la capacità di progettare e condurre interventi preventivi e di presa in carico nell’ambito delle nuove tecnologie, la Fondazione Minotauroorganizza un master avvalendosi della collaborazione del Policlinico Gemelli di Roma come preziosa esperienza formativa di tirocinio. Il corso coinvolgerà molteplici aree teoriche e cliniche, consentendo lo sviluppo di una cultura psicologica completa in riferimento alle trasformazioni affettive, relazionali e culturali determinate dalla rivoluzione tecnologica. Sono previsti approfondimenti specifici sui temi dell’adolescenza e dell’abuso della rete, finalizzati alla comprensione dei significati profondi relativi all’utilizzo di internet, sia da un punto di vista funzionale che patologico, evitando forme di demonizzazione o di esaltazione della tecnologia. I moduli saranno tenuti da alcuni tra i massimi esperti nazionali del mondo della tecnologia, della psicologia dell’adolescenza e del trattamento della dipendenza da internet, seguendo il modello teorico della psicologia e della psicoterapia evolutiva promosso dall’Istituto Minotauro.

Particolare attenzione sarà dedicata allo sviluppo di competenze e di risorse concretamente utilizzabili nel lavoro con gli adolescenti per realizzare progetti preventivi, formativi, di ricerca, di consultazione e di presa in carico in ambito istituzionale e privato.

Il master approfondisce tematiche connesse con l’uso e l’abuso di internet da parte degli adolescenti odierni e si propone di fornire strumenti e tecniche utili al lavoro clinico e di prevenzione in istituzioni pubbliche e private e negli istituti scolastici.

Per informazioni: https://minotauro.it/

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Supervisione Progetto E-Care, 7 giugno 2024

Venerdì 7 giugno 2024 tengo un incontro di supervisione online per gli operatori del Progetto E-CARE (Servizi domiciliari per soggetti con dipendenza patologica cronica, minori e giovani con problematiche di ritiro sociale, consumo/abuso di sostanze o altri comportamenti di addiction). Il progetto è promosso dal Dipartimento dipendenze patologiche dell’Azienda sanitaria territoriale di Macerata, finanziato dalla Regione Marche, gestito da Pars, Associazione Glatad onlus, Cooss e Cooperativa sociale Berta 80 e coordinato dalla dottoressa Irene Costantini.

E-CARE è un progetto innovativo che prevede, nel territorio di riferimento, l’attivazione di due azioni specifiche attraverso un servizio di sostegno familiare rivolto a due categorie ben precise: minori e giovani adulti (under 35) con problematiche di abuso o dipendenza associate a possibile ritiro sociale (azione Edu-Young) e adulti con problematiche di dipendenza patologica cronica (over 35 – Azione Edu-Home).

La supervisione è rivolta agli operatori del servizio domiciliare territoriale per minori e giovani adulti con problematiche di ritiro sociale associato a consumo/abuso di sostanze o altri comportamenti di addiction.

Per informazioni sul progetto E-CARE scrivere a e.careastmc@gmail.com

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FringeMi “Altrimenti scompaio”

 

 

Primo studio del Laboratorio Permanente di Teatro del Teatro Franco Parenti (per ragazze e ragazzi dai 18 ai 26 anni)
Un lavoro originale e inedito sul tema del rapporto intergenerazionale: un dialogo complesso, controverso, a volte ostico ma che, forse proprio per quello, nasconde segrete verità sui tempi che viviamo, sui concetti di bellezza, ricchezza, identità e futuro.
Dopo un lavoro di ricerca e approfondimento sul tema della “Grande Età, Insieme” e dopo aver partecipato a incontri con Umberto Galimberti, Gustavo Pietropolli Charmet e Massimo Recalcati, i tredici ragazzi del laboratorio, guidati dalla regista Sara Zanobbio e dal drammaturgo Tobia Rossi, portano in scena il racconto corale di una generazione. Una parabola pop, un’invenzione drammaturgica e scenica creata site specific per il FringeMI Festival Milano, un primo studio che gioca col paradosso, affronta il pregiudizio dei giovani sugli anziani per smantellarlo progressivamente e
tracciare inaspettate connessioni, scoperte e rispecchiamenti.

Ingresso gratuito senza prenotazione

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“Ma tu quando piangi?” In dialogo con Pietropolli Charmet

doppiozero, 22 maggio 2024. Intervista a cura di Anna Stefi

www.doppiozero.com

Ma tu quando piangi? In dialogo con Pietropolli Charmet

Anna Stefi

 

Violenti, ritirati, aggressivi, fragili, spaventati, indecisi: con un misto di preoccupazione e rassegnazione i discorsi mettono in primo piano il malessere dei giovani. Inauguriamo, con una conversazione con Gustavo Pietropolli Charmet, che non ha bisogno di presentazioni, uno speciale dedicato a questo disagio nominato, commentato, discusso. 

Anna Stefi: Professore, partiamo dall’agio? Quali risorse incontra nella clinica, ascoltando gli adolescenti di oggi?

Pietropolli Charmet: Un’osservazione che faccio di frequente è che mi sembra che, soprattutto i maschi, siano molto più intelligenti di quelli che incontravo una volta, e rispetto a questo avrei avanzato un’ipotesi: mi pare che alla liberazione dei costumi sessuali abbia fatto seguito la liberazione di una intelligenza nella sua concezione più vasta, che rende il primo colloquio con un adolescente qualcosa che rivela una plus dotazione. I primi colloqui sono particolarmente nutrienti per un terapeuta che non abbia riferimenti rigidi e che si lasci incantare dalle capacità narrative, creative, espressive, relazionali anche un po’ misteriose e affascinanti.

Anna Stefi: Come se, con la messa in questione dell’immagine di uomo potente, la domanda non fosse più: come si fa a esser uomo ma cosa vuol dire essere un uomo? 

Pietropolli Charmet: Mi sembra qualcosa di possibile, mi sembra cioè che tolto il tappo della rimozione, della repressione, e anche della concentrazione sugli aspetti della aggressività e della conflittualità, della contestazione con la legge e con la regola – con il padre, con Dio, con tutto – possano dedicarsi maggiormente a altri aspetti. Qualitativamente era raro, anzi, era quasi entrato nella psicopatologia l’adolescente plus-dotato.

Anna Stefi: E nelle donne cosa vede?

Pietropolli Charmet: nelle donne questo era qualcosa che si incontrava già: il dialogo, le relazioni e le iniziative psicoterapeutiche, sembravano create per le femmine adolescenti e preadolescenti, che hanno un particolare bisogno di trasformare in parole il corpo, e dunque fanno diventare l’esercizio narrativo, e lo scambio verbale, una necessità da coltivare. Con loro non c’è difficoltà ad avviare una trattativa, difficoltà che con i maschi si incontra maggiormente; i maschi arrivano spesso poco motivati, spinti lì dalle pressioni materne. Le donne colpiscono per l’intelligenza emotiva, la capacità empatica di fornire una descrizione del funzionamento mentale dell’altro: sono cose che non ti aspetti a quindici anni. Mi pare interessante l’attenzione maniacale a quello che l’altra prova, che sperimenta, che era ed è diventata. Questa mi sembra che rimanga una specialità femminile: costruire intellettualmente una mente di coppia, non sulla base del vecchio imprinting materialistico, ma con una nuova concezione difficile da definire e difficile da codificare e da gestire.

Anna Stefi: tocca qui, con questa “mente di coppia”, un tema che mi pare di rilevare sia a scuola, sia nella clinica. Il legame a due, la fedeltà, i triangoli amicali con i loro drammi: sono sempre stati il cuore dell’adolescenza, essenziali alla costruzione identitaria, ma mi pare che la dimensione simbiotica, forse anche favorita da strumenti di controllo, sia esplosa. È così?

Pietropolli Charmet: La relazione con i pari, soprattutto se dello stesso sesso, ha come conseguenza positiva quella di regalare una maggior pesantezza, dare fondamento ontologico alla propria identità. L’aspetto speculare, il fatto di riconoscersi nell’altro, riconoscere che i modelli di funzionamento dell’altro appartengono anche al sé, questo potrebbe essere uno dei vantaggi in termini di accelerazione del processo. Si riscontra in più ambiti, penso a quello dell’identità di genere sessuale perché è forte la necessità di darsi un nome nella sterminata neo-terminologia: la dichiarazione trionfale “sono lesbica” può essere il portato specifico della relazione di coppia simbiotica. È uno scatto in avanti maturativo su un piano che, definendo meglio che cosa intendono fare del loro genere, aumenta la serietà e il senso di responsabilità nei confronti di quello che ritengono di essere, di pensare, di credere. Si sono visti nell’altro e si sono riconosciuti specularmente, simbioticamente, e stanno un po’ meglio. Penso a certe ragazzine, dove l’aspetto della precocità non sessuale ma sociale continua a sorprendere: ragazzine che affrontano da sole situazioni complicate, rischiose anche a volte per la loro incolumità. Ascoltandole si riscontra una forte maturità identitaria: tutto il resto è immaturo, ma non questa contemplazione del sé legata all’autorappresentazione.

Anna Stefi: ha toccato due temi che mi paiono importanti: la nominazione e il genere sessuale. Inizio dalla prima domanda. La rete, la disponibilità di informazioni, li aiuta in questo “nominarsi”: si informano, leggono, sanno, traggono definizioni. Mi chiedo quanto questo li aiuti a comprendersi quanto li “inchiodi”. Ci penso, ad esempio, in relazione alla salute mentale: “sono border”; “sono anoressica”; “sono bipolare”. Leggono e rispondono, risolvono, le informazioni non aiutano ad aprire interrogativi e a rendere possibile il dispiegarsi di un discorso soggettivo. La costruzione dell’identità passa per le identificazioni, ma mi pare che sia più complicato, in questo eccesso di risposte, il movimento di scollamento da tali identificazioni.

Pietropolli Charmet: Questo è uno degli aspetti maligni della rete, soprattutto le preadolescenti, affamate di sentirsi rispecchiate, effettivamente trovano nella rete un servizio raffinato, pervasivo, restituisce loro quello che vogliono sentirsi dire e incollano identità che in loro erano fumose e inutilizzabili. Le fanno diventare chiare, evidenti, dicibile narrativamente; in questo senso hanno una prepotenza, una capacità intrusiva. Soddisfano esigenze fase-specifiche molto impellenti. La potenza dipende dal bisogno che hanno di avere risposte definitive: si fa così perché si è così, ecco il decalogo di caratteristiche che devi potenziare, e per potenziarle sono necessarie ginnastiche sociali peculiari. Non è uno scambio educativo integrato, ma ideologico e pervasivo. I siti con la prospettiva di voler aggiornare, mettere a fuoco, spiegare, regalare un’immagine, sono molto efficaci. Non c’è dibattito.

Anna Stefi: E in questo senso vengo alla seconda domanda, riprendendo il tema del genere, Mi colpisce che la scelta di nominarsi ricada sulla categoria di “asessualità”. Nominarsi in un “alfa”, in una non scelta. Ha a che fare con la difficoltà di scegliersi? 

Pietropolli Charmet: credo che possa essere letta, questa scelta, come, da un certo punto di vista, un passo avanti rispetto ai passi prematuri della scelta anoressica. Nella scelta anoressica è in campo la fobia del corpo femminile, della femminilizzazione e dunque della sessuazione. È una risposta convincente alla paura della dipendenza dal maschio. Il no alla sessualità, che ritroviamo nella scelta dell’asessualità, autorizza a una vita molto più tranquilla, esclude l’oggetto come alterità, con una sua autonomia. Resta, come unico rapporto, quello con un oggetto riflettente, un oggetto sé. Questa terminologia si presta a dare un nome a qualcosa di fuggevole, ad ancorarsi e non attraversare alcune questioni.

Anna Stefi: mi pare che facciano fatica a stare nell’esperienza dell’indeterminazione e forse non li aiutiamo proprio in questo, ho l’impressione che tendiamo, come educatori, come genitori, a essere fornitori di risposte.

Pietropolli Charmet: Sì credo che tu abbia ragione, nell’esperienza esplicitamente educativa questo aspetto è importante. Come ti devo chiamare? In fondo il punto non è maschile, femminile, plurale. Per quanto mi riguarda il tema è spostarli da lì: non mi interessa come ti chiami, per me sei una persona. Ma già dire “persona” è chiamarli a una responsabilità. Si dovrebbe smontare l’importanza di questo nome: “ti considero un soggetto psico, sei un cittadino che cerca la libertà, bene, vediamo cosa vuol dire la libertà nel 1924”. Si appellano agli adulti, e è necessario spostarsi dallo svolgere lo stesso ruolo che svolge la rete.

Anna Stefi: ho l’impressione che tutto questo faccia eco con un altro tema che mi sorprende: l’esigenza che hanno di una relazione paritaria, simmetrica, amicale con i genitori. Portano, nei discorsi l’amore tra i genitori, come stanno, se soffrono, perché soffrono. Da adolescente non mi ponevo il problema della loro felicità o meno, delle loro preoccupazioni, non parlavo di loro, non vedevo i loro turbamenti. 

Pietropolli Charmet: non saprei dire, perché credo che questo dipenda dai diversi osservatori. Io ho più l’impressione che il genitore reale, la sua funzione, è, come è stato detto, evaporata, e questo non significa che i ragazzi non pensino, non soffrano, non si vergognino, non siano alle prese con la depressione sconfinata che dà il fatto di sentirsi disprezzati o deludenti. Faccio esperienza di adolescenti che hanno il peso di un genitore deluso irrimediabilmente; la perdita di stima del padre è una prospettiva di lavoro. Lavorando nelle comunità i genitori sono fatti fuori dall’autorità giudiziaria, sono fisicamente assenti, se non in forme burocratiche e protette, e allora nello spazio psicologico che rimane mi pare che sia utile tirare fuori la madre nascosta, il padre nascosto, restituire dei connotati abbastanza originali, che sono quelli arcaici e della fantasia, da ricostruire sulla base di spezzoni di vita. Perché da questo genitore ti puoi separare, da quello immaginario non c’è possibilità di individuazione. Nel mio osservatorio assisto a separazioni forzate, drastiche, che tagliano via la possibilità di fare un lavoro più raffinato che va a vantaggio di un sentimento di identità. Quello che dici tu forse ha a che fare con l’ambiente della scuola, classi sociali differenti: la classe sociale che corrisponde a una competenza educativa acquisita è un osservatorio del tutto diverso di quello che si vede nelle aree della povertà educativa e economica, o in quelle di povertà educativa e ricchezza economica, dove si vede spesso una millanteria di stampo narcisistico.

Anna Stefi: Cosa intende per millanteria di stampo narcisistico? Io, parlando di un contesto che non è quello delle comunità di cui ha detto, ho l’impressione che abbiamo confezionato troppo le parole per loro. Mi chiedo, in questo senso, se non li abbiamo invasi con un sapere, anche quello che nomina il disagio, accessibile a loro. Ho l’impressione che siamo troppo per loro: forse dobbiamo lasciare a loro il lavoro di traduzione? Potrei dirlo così: chiedono il linguaggio della relazione affettiva e non quello della letteratura. Perché? Se io spiego Kierkegaard e parlo dell’angoscia non c’è lo stesso interesse che suscito se parto dall’angoscia, dalla clinica, dagli attacchi di panico, e poi li riporto al filosofo danese. Io ho conosciuto il mio discorso dalla letteratura, ho trovato il mio discorso nella letteratura, e mi pare che oggi conoscano la parola del legame e facciano più fatica a cogliere che la letteratura è di questo che parla. Da insegnante sto provando a spostarmi da questo, dal produrre parole per loro (un ipotetico “loro” che era tutto mio, evidentemente); mi pare che tanto più resto, con il mio desiderio, sulla filosofia, tanto più qualcosa si produce.

Pietropolli Charmet: mi sembra una cosa vera, nei pochi nei genitori che passano dalla dimensione di coppia erotica alla dimensione di coppia genitoriale, c’è spesso un eccesso di parola che cerca di stare dietro a una fantasia importante: si vorrebbe costruire Narciso più che mettersi al riparo da questo, dal rischio di un’educazione che sopravvaluti l’importanza dei valori del sé rispetto ad altre questioni. Credo che la difficoltà di ascoltare quello che accade sia legata a un essere sempre o troppo avanti o troppo indietro rispetto alle questioni che si pongono, anche se è necessario sottolineare che la disponibilità dei genitori oggi, a fare questo lavoro, in linea teorica, è enorme rispetto al passato: un tempo era necessario inseguire i genitori, adesso chiedono risposte su “come fare il genitore”. Non credo che questo dipenda dal tanto disagio da parte dei ragazzi – vero o millantato a scopo seduttivo e vendicativo che sia –, mi pare che la genitorialità attuale non nasca dalla colpa ma appunto dal desiderio del “meglio possibile”. Ovviamente mi riferisco a quel contesto in cui questo è possibile, in cui è possibile cioè l’esperienza dell’unico, del prezioso, del bello. Io lavoro molto con i genitori, sin dall’inizio: ognuno ha il suo terapeuta e in equipe ci si confronta. L’urgenza richiede il corso di formazione accelerata e questo rischia di far allontanare la prospettiva del sogno e del simbolo: ci si dà da fare per erogare prestazioni materne e paterne che siano allineate a una specie di mansionario, ed è vero che sono slogan pesanti nella realtà clinica. Mi sembra, in effetti, che a forza di enfatizzare il lavoro con i genitori si è dato a questo troppa importanza; è un pensiero recente su cui stiamo riflettendo, che nasce dal confronto con equipe differenti che usano modelli simili, di presa in carico collegiale della famiglia, ci siamo chiesti se ci sia il rischio di non dare un buon esempio, dal momento che non ci si separa dai genitori ma anzi si sta in una relazione, “si fa comunella”, forse, ai loro occhi, a discapito del loro spazio e di questa distanza che è necessario creare. Rispetto a quello che dici sulla non traduzione io credo che sia così: se si parla poco forse le parole le vanno a cercare da chi apparentemente non le vende. Bisognerebbe fare una riflessione su questo. Tante volte mi chiedo, ascoltando la loro musica, se hanno un rispettivo nel pensiero quotidiano, e mi pare strano, ma vale la stessa domanda per le canzoni della mia epoca: sentivamo così e la musica prestava le sue parole, in modo esagerato, a uno stato d’animo collettivo. Anche in questa musica, che non capisco, ci sarà qualcosa che li rappresenta, e, riprendendo quello che dici, preparo delle parole sofisticate ma mi accorgo che in definitiva sarebbe meglio che andassero a cercarle nella savana, pian pianino.

Anna Stefi: mi impressiona come si sentono davanti alla scelta universitaria, chiedono il prontuario: un prontuario che mi dica cosa voglio fare da grande. Perché abbiamo fatto credere loro che esista un prontuario? 

Pietropolli Charmet: anche io penso che questo sia un appuntamento obbligato; arrivare a qualcosa di sottovalutato dal punto di vista sociale: diventare maggiorenni. Lo celebrano con l’abito da sera ma la società non celebra seriamente tutto questo, questa nuova libertà, questa nuova responsabilità. Bisognerebbe riflettere a partire dal fallimento di questa domanda: gli universitari del primo e del secondo anno, delfini spiaggiati che hanno perso l’orientamento e annaspano, e probabilmente non studieranno mai più ma continuano a stare davanti a un libro aperto che non leggono e che non chiudono. È una situazione disastrosa: spesso compare l’immagine del padre che non ha detto niente, ha blaterato qualcosa rispetto al fatto che la facoltà deve rendere autonomi. C’è, in loro, la delusione: il padre è deluso, e questo produce una paralisi. Siamo molto indietro, i consultori universitari mostrano che sono davvero troppi questi ragazzi che si disorientano e chiedono la risposta. Mi ricordo un corso che avevo fatto alla Bocconi su questo problema, che mi sembrava importante, e lo penso tutt’ora: è un momento in cui arriva addosso il peso del demone dinastico, non sei solo a prendere a questa decisione, ci sono gli avi, la casa, lo studio notarile, la fattoria, i buoi, quelli che ti hanno pensato ancora prima che tu nascessi. C’è una storia mitica che schianta. L’impossibilità credo sia proprio esito della cultura narcisismo: hanno alle spalle vent’anni di una cultura che dice “tieni da conto il sé”. Questa scelta per il sé è fondamentale, se lo metti troppo dietro o troppo avanti non va bene, e l’idea di non fare gli esami – è davvero qualcosa di terribile – è che sono terrorizzati dal libro aperto che hanno sul tavolo e ci vogliono mesi per riuscire a far chiudere quel libro, restano convinti che daranno quegli esami. Il lavoro è provare a dire loro: “Senti, giriamoci dall’altra parte della vita che se risolviamo i due o tre problemini che hai nella vita di relazione poi possiamo tornare a quelle pagine”. Io credo che le vie ai miei tempi erano segnate in modo così chiaro che la scelta era relativamente semplice, la scuola ti aiutava con un minimo di orientamento – umanistico, scientifico –, poi c’era la famiglia. Adesso c’è una moltiplicazione di facoltà che rende tutto davvero complesso. Credo che questi giovani adulti siano la prosecuzione di una adolescenza incompiuta che non gli consente di avere le idee chiare dal punto di vista del futuro identitario.

Anna Stefi: Al fondo è sempre una difficoltà di separazione, e persista l’illusione che ci sia la tua scelta, la scelta per te.

Pietropolli Charmet: loro si aspettano che tu tiri fuori lo spirito guida dalla loro testa, ti dicono che sono importanti i soldi che sono, in termini di sicurezza, un’illusione: i soldi non sono la sicurezza economica, sono la sicurezza identitaria, il modo in cui nominano la sicurezza di poter tollerare la solitudine. Io, con i soldi, posso sopportare la solitudine.

Anna Stefi: forse, oltre al tema della morte, uno dei grandi innominati è la solitudine. Forse se lasciassimo essere una solitudine ritroverebbero la poesia? Facciamo così: mi dia un suggerimento, come insegnante, come clinica.

Pietropolli Charmet: la solitudine sarebbe il punto di contatto possibile tra i longevi, questa marea di gente che ha la mia età, ottantasei anni: gli adolescenti sono spaventati dalla solitudine, e poi c’è la solitudine dell’anziano. Sono solitudini diverse, io preferisco di gran lunga quella dell’anziano, che non è rassegnato, ma trova naturale di aver passato più tempo in cimitero a seppellire amici e parenti, e è una solitudine virtuale. L’adolescente solo è veramente solo, il cellulare è il più grosso antisolitudine inventato dall’uomo, e loro non possono separarsene mai. Come fare allora? Io credo che se la tempistica è corretta – una separazione, un tradimento di amici, una paura grande – la domanda semplice, senza premessa, da fare è: “ma tu quando è che piangi?”. È un dire che noi lo sappiamo. Lì c’è il problema della solitudine, che è senza parole. E hai ragione, non si tratta, lì, di inventare parole magiche: bisogna stare zitti. La solitudine diventa in presenza, la solitudine è il nome di quei momenti, è necessario scovarla.

 

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