La società del NON ASCOLTO
La società del NON ASCOLTO
“Non è mai facile ascoltare. A volte è più comodo comportarsi da sordi, accendere il walkman e isolarsi da tutti. È così semplice sostituire l’ascolto con le e-mail, i messaggi e le chat, e in questo modo priviamo noi stessi di volti, sguardi e abbracci”. (Papa Francesco)
“Sto imparando a non odiare”: si chiamava così la Giornata di Studi con la quale nel 2008 la redazione di Ristretti Orizzonti iniziava un percorso per scardinare quel meccanismo perverso, per cui chi vive la carcerazione in modo passivo e inutile, come succede a troppi detenuti, ben presto comincia a sentirsi una vittima della società e perde del tutto di vista la sua personale responsabilità.
Quella Giornata si era caratterizzata per il silenzio delle persone detenute e l’ASCOLTO delle vittime, un ascolto davvero quasi religioso perché la decisione era stata di far parlare solo loro.
In realtà le persone che hanno commesso reati spesso hanno ascoltato pochissimo, e ora si ritrovano punite con un “non ascolto” desolante, ma la strada per imparare ad ascoltare è tortuosa per tutti, per chi ha commesso reati, e anche per le istituzioni che puniscono spesso senza ascoltare.
Negli stessi anni in cui la nostra redazione, negli incontri con gli studenti in particolare, imparava ad ascoltare le vittime, anche quelle di reati considerati semplicisticamente “minori” come il furto in casa subito dalla studentessa, che raccontava come l’aver trovato degli sconosciuti in camera le avesse cambiato la vita, trasformandola in una persona paurosa di tutto, proprio in quegli anni iniziava a incontrarsi il Gruppo dell’incontro: famigliari di vittime, responsabili della lotta armata, mediatori insieme in un percorso dove si parla di Giustizia in modo nuovo, lavorando per far capire alla società che coltivare l’odio non fa star bene nessuno, nemmeno le vittime.
Nel percorso di “piccola giustizia riparativa” quotidiana di Ristretti, e nel percorso di giustizia riparativa che tocca una fase tragica della storia del nostro Paese, come quello del Gruppo dell’Incontro, c’è in comune la consapevolezza che solo con tanta fatica e tanto esercizio si impara a RACCONTARSI e ad ASCOLTARSI.
C’è chi informa senza ascoltare e poi “basta un clic per conoscere LA VERITÀ”
Dopo aver ascoltato la testimonianza di una persona detenuta, che “metteva in piazza” la sua vita di fronte agli studenti perché almeno diventasse occasione di riflessione, una studentessa è andata a guardarsi gli articoli di cronaca nera riferiti alla storia di quel detenuto e ci ha poi scritto “basta un clic per conoscere LA VERITÀ”. Bisognerebbe allora spiegare quanto tanta informazione, di fronte alla complessità delle storie di chi commette reati, non abbia praticamente nessuna capacità di ascolto, e semplifichi e banalizzi, e però quelle banalizzazioni oggi, attraverso il web, diventano sempre più spesso LA VERITÀ. E durano all’infinito. Ecco perché è fondamentale discutere della qualità dell’informazione, e non a caso il ministro della Giustizia ha indetto gli Stati Generali dell’esecuzione penale, proprio per coinvolgere la società in un’idea meno vendicativa di pena.
– Donatella Stasio, giornalista, laureata in Giurisprudenza, lavora dal 1984 a Il Sole 24 Ore, dove si è sempre occupata di giustizia, attualmente è capo servizio e segue la politica giudiziaria.
Ha scritto con Lucia Castellano, che è stata direttrice del carcere di Bollate, il libro Diritti e castighi. Storie di umanità cancellata in carcere.
– Glauco Giostra, Ordinario di Procedura penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza”, è stato Coordinatore Scientifico Nazionale del programma di ricerca “Processo penale e Informazione”, è coordinatore del Comitato Scientifico degli Stati Generali dell’esecuzione della pena
I “cattivi per sempre”, quelli che o “collaborano” o non sono degni di essere ascoltati
“I mafiosi” hanno una storia, dei sentimenti, una famiglia. Non ci piace la categoria dei “mostri”, e abbiamo imparato dal Papa a chiamare le cose con il loro nome vero: “i mafiosi” restano uomini sempre, nonostante la gravità dei reati; l’ergastolo è “una pena di morte nascosta”.
A Padova abbiamo anche sperimentato che far uscire “i più cattivi” dall’isolamento e metterli di fronte a un pubblico di studenti, che non ha paura di fare domande severe, è più spiazzante e più “rieducativo” del carcere duro, disumano, quello che fa crescere tanti “figli del 41 bis” nell’odio per quelle istituzioni, che puniscono con crudeltà i loro cari.
– Fabio Gianfilippi, magistrato di Sorveglianza presso il Tribunale di Spoleto, membro del Tavolo 2 degli Stati Generali che ha affrontato anche il tema dei circuiti di Alta Sicurezza e del 41 bis, a partire dalla consapevolezza che “nemmeno un’ora del tempo della detenzione può essere sprecato senza lavorare per la responsabilizzazione e la risocializzazione delle persone condannate”
Quando i “buoni” incontrano una “giustizia” che non ascolta
Cosa accade nella vita di una “persona regolare”, quando si accorge di non essere più nessuno, di essere diventata indegna di qualsiasi ascolto? È successo a Mario Rossetti, ex manager Fastweb, che ha sperimentato le perquisizioni di notte, il carcere, la perdita di “onorabilità” nel mondo dell’economia che conta e dell’informazione, salvo poi essere dichiarato innocente.
E aver deciso di continuare la sua battaglia “fatta in nome di chi non ha una voce. Io sono, nella sfortuna, una persona molto fortunata, perché sono ancora in piedi, parlo, ho avuto la possibilità di scrivere un libro. Ma in carcere ho incontrato tante persone che non hanno una voce, che non hanno un avvocato, né i soldi per pagarlo”.
– Mario Rossetti è ex direttore amministrativo e finanziario di Fastweb, laurea in economia e master ad Harvard. Coinvolto nel processo Fastweb-Telecom-Sparkle, Rossetti è stato sbattuto in prigione per più di 100 giorni, e per 8 mesi ai domiciliari, prima di essere dichiarato innocente dai giudici di primo grado. Ha raccontato la sua vicenda nel libro “Io non avevo l’avvocato”.
La comunità che dovrebbe (e non sempre sa) ascoltare
Quando si parla di mafia, di camorra, di ‘ndrangheta, si parla di regime duro, 41 bis, Alta Sicurezza, ma è fondamentale ragionare anche su quanto è importante con i ragazzi, soprattutto in zone di forte presenza criminale, lavorare sull’ascolto delle loro storie e sul confronto. Parte da qui la proposta di Ristretti che i detenuti adulti, che hanno sperimentato il minorile, possano confrontarsi con i ragazzi in carcere o messi alla prova: perché capiscano che nella scelta di fare i delinquenti e nella galera non c’è niente di eroico.
- Gianluca Guida, da vent’anni direttore dell’Istituto Penale Minorile di Nisida, ci parla dei ragazzi di Napoli e di come “nella crisi delle istituzioni e delle altre strutture sociali, la camorra appare oggi, a tanti adolescenti napoletani che hanno davanti a sé soltanto la miseria delle famiglie e la disattenzione dei poteri pubblici, l’unico soggetto che riesce a dare un’identità e una parvenza di integrazione”.
- Francesco Cascini, magistrato, è Capo del nuovo Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità, ma è anche scrittore, autore del libro “Storia di un giudice nel far west della ‘ndrangheta”, racconto autobiografico nato dalla sua esperienza di pubblico ministero in Calabria (Locri) fino al 2001.
Ascoltare i ragazzi, entrare nel loro mondo
Quando alcuni detenuti ti raccontano di essere stati “buttati fuori” dalla scuola da giovanissimi, viene da chiedersi se le istituzioni siano state davvero capaci di ascoltarli, quei ragazzi. Con Pietropolli Charmet, uno dei massimi esperti di Adolescenza, affronteremo allora il tema dell’ascolto degli adolescenti, e delle loro tante “famiglie”: “Il contesto sociale istiga al successo, alla visibilità, alla bellezza. Obiettivi difficili da realizzare: per questo gli adolescenti cercano di “sostenersi” in qualche modo. Per esempio con l’alcol o con le “canne”. Le responsabilità dei comportamenti rischiosi dei ragazzi vanno divise tra le varie “famiglie”: il gruppo, la famiglia tradizionale, la scuola”.
- Gustavo Pietropolli Charmet è uno dei più importanti psichiatri e psicoterapeuti italiani. È stato primario in diversi ospedali psichiatrici, e docente di Psicologia Dinamica all’Università Statale di Milano e all’Università di Milano Bicocca. Attualmente è docente della Scuola di Psicoterapia dell’Adolescenza ARPAD Minotauro e presidente del CAF Onlus Centro Aiuto al Bambino Maltrattato. È autore di numerosi saggi sull’adolescenza.
Prove di Incontro
Otto lunghi anni di doloroso ascolto reciproco e dialogo, nei quali vittime, familiari di vittime ed ex appartenenti alla lotta armata si sono incontrati e hanno cercato insieme di “ricomporre la ferita lasciata aperta da quegli anni sofferti”. Da questa esperienza è nato Il libro dell’incontro, curato dai mediatori Guido Bertagna, Claudia Mazzucato, Adolfo Ceretti. Al cuore dell’incontro c’è stato l’ascolto, parola ricorrente nell’esperienza di questo gruppo: regola di giustizia riparativa, “mestiere” difficile, bisogno e desiderio. Di essere ascoltati e di ascoltare. Ne parleranno con noi:
- Manlio Milani, presidente dell’Associazione dei caduti di piazza della Loggia a Brescia, che nell’attentato terroristico del 1974 ha perso la moglie
- Giorgio Bazzega aveva due anni e mezzo quando suo padre, il maresciallo SergioBazzega, morì fulminato dai colpi del giovane brigatista Walter Alasia, poi ucciso nel conflitto a fuoco (1976)
- Alexandra Rosati, figlia di Adriana Faranda, dirigente della colonna romana delle Br che organizzò ed eseguì il rapimento Moro
- Grazia Grena, è entrata in Prima Linea nella fase finale della lotta armata, non si è macchiata di reati di sangue ma non per questo si sente più “pulita”, e nel racconto di sé ha scelto di non nascondersi
- Ernesto Balducchi è un ex appartenente ai Comitati Comunisti Rivoluzionari. Fu lui a promuovere la consegna in Arcivescovado a Milano, il 13 giugno 1984, di tre borse piene di mitra e pistole per il cardinale Martini, a nome di centinaia di terroristi che rinunciavano alla lotta armata senza chiedere sconti di pena.
- Ilaria Delsere è architetto e ha partecipato all’esperienza raccontata nel Libro dell’incontro nella veste di chi, della società civile, ha per primo testimoniato, ascoltando, l’accadere dell’incontro tra vittime e responsabili della lotta armata.
- Claudia Mazzucato, professore associato di diritto penale nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, mediatrice penale.
Partecipano ai lavori con le loro testimonianze i redattori detenuti di Ristretti Orizzonti, che nelle scuole e in carcere ogni giorno fanno la fatica di raccontare come sono arrivati a commettere reati, senza nessuna pretesa di “salire in cattedra”, ma solo con il desiderio di dare qualche risposta al bisogno di capire della società. E ne abbiamo davvero bisogno tutti, di ascoltare e di capire come si può arrivare, per superficialità, per solitudine, per rabbia, per assenza di passioni, per delirio di onnipotenza, per ideali folli nella loro intransigenza, a distruggere la vita degli Altri.
Coordinerà i lavori Adolfo Ceretti, Professore ordinario di Criminologia, Università di Milano-Bicocca, e Coordinatore Scientifico dell’Ufficio per la Mediazione Penale di Milano. Tra le sue pubblicazioni, Cosmologie violente, Oltre la paura e Il libro dell’incontro.
Info: 049 654233- mail: convegno.ristretti@gmail.com